Passa ai contenuti principali

Il ricco e il povero versione racconto 2015: la tua anima

La tua anima

Perché noi siamo l’anima, ma ognuno lo è di qualcun altro...

di
Alessandro Ghebreigziabiher


Io non sono uno scrittore, chiariamo subito questo punto.
Non pretendo assolutamente di possedere un particolare talento letterario o uno stile originale degno anche della più insignificante nota. Di conseguenza, non auspico in alcun'anticamera del mio cervello la possibilità che tale mio testo venga pubblicato. Anzi, diffido fin d'ora chiunque dal proporre al sottoscritto una fantomatica proposta editoriale, seppur in qualità di responsabile della più importante casa editrice nazionale.
Non ne faccio altresì una questione di cifre. Non ho particolari bisogni economici, io, e d'altro canto ciò che ho me lo sono guadagnato. Ho solo preso questo cazzo di computer per buttar giù quello che mi è accaduto stamani. Ne ho bisogno, ho un estremo bisogno di rammentare chi sono e, ripeto, gli avvenimenti capitatimi oggi.
Mi chiamo Gianmaria Martini, ho trentasei anni, sono scapolo e vivo in un bell'attico nel centro di Milano. Ecco, almeno questo me lo ricordo bene, buon segno.
Fino a un mese fa frequentavo una ragazza. Simona, occhi verdi, capelli rossi, tatuaggio sul ventre, buon sesso e niente più. Sottolineo a caratteri cubitali: NIENTE PIU'.
La stronza ha avuto la pretesa di aspettarsi che le chiedessi di venire a stare da me. Ma vi rendete conto? Le solite cazzate da ventottenne in crisi: non vuoi crescere, vuoi fare l'immaturo a vita, non vuoi avere una relazione adulta, hai tanta paura… ecc.
Io non ho paura di nulla, lo prova la mia vita.
Oltre tutto sono stato chiaro fin dall'inizio. Le ho detto subito che non volevo alcun coinvolgimento e che potevo offrirle solo divertimento e qualche buona nottata.
Certo, non mi sono espresso proprio in questo modo, eh ? Mica sono un coglione, so parlare alle donne, conosco quelle cazzate che piacciono tanto a loro. E non sono nemmeno monotono. So essere romantico, se serve, o diretto e concreto, se lo desiderano, ma il messaggio è stato inequivocabile comunque: sono single e voglio restare tale.
Ho un buon lavoro. Possiedo un invidiabile contratto a tempo indeterminato. Più di duecentomila euro l'anno scorso, escluso premi e straordinari, non sono mica da tutti, è chiaro.
Il mio ramo è il marketing, che dio abbia in gloria chi ha inventato tale santa pratica. C'è chi dice che sarei capace di vendere il proprio culo a chiunque. In tal modo mi definisce chi conosce le mie qualità.
Ho un’auto niente male, se così si possa descrivere una ferrari nera scintillante, ho una moto da sballo, se così si possa raffigurare una Suzuki ultimo modello.
Aggiungiamo che ieri, sabato, alle ore undici e quarantacinque p.m., in pieno straordinario, dopo aver accettato di sniffare coca con un vecchio perverso di giapponese gonfio di yen fino ai capelli, ho stipulato un affare colossale che la prossima settimana mi consacrerà uomo di punta della mia società.
In sintesi si può sostenere tranquillamente che stamane si presentava come uno di quei giorni in cui uno, al mio posto, ha tutto il sacrosanto diritto di passarlo a darsi pacche sulla schiena e a non fare un benemerito cazzo fino a notte inoltrata, godendo della rendita acquisita.
E' con questo pensiero in testa, verso le otto a.m., sepolto sotto il lenzuolo del mio morbido letto a tre piazze, che ho udito un suono inusitato, ostile in una siffatta mattina: il campanello.
Così, tra l'incredulo e l'infastidito, raggiunsi la porta di casa.
Guardai dallo spioncino ma non c'era nulla. Quindi pronunciai, mi correggo, bofonchiai un cavernoso chi è. E sapete cosa rispose quel cazzo di uomo? Come se ci conoscessimo da una vita, mi fece: "Sono io, Gianmaria. Sono Freddy."
Io mi stropicciai gli occhi e mi passai le mani nei capelli, così, per far meglio mente locale, ma non potei far altro che rispondere: "Freddy chi?"
"Freddy, Gianmaria", rispose quello. “Dai, apri la porta",
Devo ammettere che non ho buona memoria per le persone. Nomi, facce, cazzi loro, non ricordo quasi mai nulla della gente. E mi dispiace se ci rimangono male ma è così, non posso farci nulla.
A meno che non si tratti di lavoro. In quel caso è grave. Questo Freddy poteva essere legato a qualcosa del mio lavoro. Così, peraltro incuriosito, aprii la porta.
Ed ecco che mi trovai davanti questo bassetto, con la barbetta curata, scuro come un indiano, giacca bluette e cravatta rossa, entrambi da mercatino e due occhietti vispi e allegri.
"Ciao Gianmaria, quanta felicità, quanta felicità."
E il tappo mi abbracciò fraterno.
Sottolineo il fatto dell'altezza perché, senza fregare sui centimetri, io sono ben uno e ottantacinque.
Ma torniamo a Freddy. Ero paralizzato, normalmente non gradisco il contatto fisico, a meno che non si tratti di una bellona in attesa di aprire le danze. Così, dopo un'interminabile decina di secondi, allontanai l'omuncolo e chiesi spiegazioni.
"Ma chi cazzo sei? Io non ti conosco."
"Gianmaria, non mentire. Capisco che tu non ti rammenti di me, ma non puoi dire che non mi conosci."
Lo guardai di nuovo attentamente, ma dovetti confermare la mia totale estraneità sia al viso che alla voce di quell'uomo.
"Ascolta, io non so chi ti manda, ma ti sei sbagliato. Magari conosci un altro Gianmaria ma quel Gianmaria non sono io, credimi. Io non ti ho mai visto in vita mia."
"Certo", fece lui imperturbabile, "se tu mi avessi già visto, ora non saresti qui. Saresti andato."
"Andato dove ?"
"Andato, volato via. Morto, insomma."
"Senti, bello, non è divertente. Vattene dal mio pianerottolo o chiamo la polizia. Da quando avrò chiuso avrai cinque secondi per allontanarti. A partire da ora…"
Ecco, stavo per sbattergli la porta sul muso, spingendolo con una mano sul petto, quando il tizio, sempre calmissimo, estrasse una pistola e me la puntò alla testa.
Ora, io non lo so se vi sia mai capitato, ma per me è stata la prima volta. Ho sentito il cuore sobbalzare come il palo della porta colpito da Messi o Cristiano Ronaldo, non so se mi spiego.
"Non sparare, non sparare", riuscii a supplicare col fiato mozzato.
"E tu fammi entrare. Non ho molto tempo", disse Freddy serafico.
E così mi invitò ad arretrare e scivolare dentro casa di spalle, mentre pian piano avanzava e chiudeva dietro di sé la porta.
L'ometto mi fece accomodare su una sedia in cucina. Molto tranquillo, si prese un bicchiere d'acqua e lo bevve lentamente, senza smettere di puntarmi la canna dell'arma. Quindi sistemò una sedia di fronte alla mia, si tolse la giacca ponendola intorno alla spalliera e si sedette accavallando comodamente le gambe.
"Ricominciamo da capo", fece un secondo dopo. "Speravo in qualcosa di utopico. Che tu fossi capace di riconoscermi. Tuttavia mi sono illuso. In quel caso sarebbe stato inutile portarmi la pistola. E, del resto, basta guardare dove vivi per comprendere che tu non potresti in alcun modo accorgerti di me, pure se fossi l'ultima persona al mondo."
"Ma insomma", sbottai, "si può sapere chi sei e cosa vuoi da me ?"
"Presto detto. Non sarà facile per te credermi ma abbiamo una giornata con noi e ce la faremo bastare: io sono Freddy, la tua anima."
Ricordo che quando pronunciò quell'ultima frase sudai freddo all'improvviso, come se d'incanto si fosse spento il riscaldamento interno della mia pelle terrorizzata.
Eh, sì, perché di terrore si iniziò a parlare nella mia testa, da quel momento.
Questo è pazzo, pensai. Questo è completamente pazzo e sono solo in casa con lui mentre mi punta una pistola in faccia.
"Scusami", mi scivolò via dalla bocca, "non ho capito bene. Puoi ripetere?"
"E' molto più semplice di quello che credi, Gianmaria. Io sono la tua anima."
"Che cosa vuol dire ?"
Avevo visto in tanti film che quando c'è un pazzo bisogna assecondarlo, prendere tempo, non innervosirlo e sperare nell'arrivo della polizia, o dell'ambulanza, in questo caso.
"Vuol dire che io, Freddy, sono l'anima di Gianmaria Martini. O forse pensavi che l'anima fosse qualcosa di spirituale, etereo, invisibile? Troppo facile. La gente usa questa falsa immagine, ognuno a proprio servizio."
"Io no, Freddy, te lo giuro."
"Certo, Gianmaria, lo so bene. Tu appartieni alla parte che resta. Ti dici cinico ma non lo sei davvero, perché se tu lo fossi sul serio non avresti passato i tuoi ultimi dieci anni ad accumulare roba ma piuttosto a distruggere quella del prossimo. E alla gente come te fa comodo che tutti gli altri dicano di credere in qualcosa che non si vede e non si tocca. E' una grande forza, la tua."
"Spiegati meglio…"
"Non dirmi che non ti fa sentire bene il poter dire che non esiste niente che non si veda."
In quel momento mi cominciai a sentire male. La follia della situazione, la tensione in crescita, la paura nelle budella, ma anche la netta sensazione che quel cazzo di Freddy qualcosa di me la sapeva.
"Ho voglia di vomitare…"
"Calmo, Gianmaria, lo so che è difficile ma devi fare uno sforzo. Non ti devi preoccupare, in ogni caso. Vedrai che molto probabilmente non cambieranno di molto le cose, dopo. Tuttavia, qualcos'altro non sarà più lo stesso, da oggi in poi, per tutti e due e in modo irreversibile. Capita solo una volta nella vita di conoscere la propria anima."
Stavo male ma ripresi comunque la strategia da cinema, sul temporeggiare: "Senti, Freddy. Tu dici di essere la mia anima. Ma tu sembri solo un uomo come me."
In quell'attimo si alzò in piedi di scatto e lasciando andare il braccio con l'arma lungo il corpo, fissando i suoi occhi marroni nei miei, esclamò: "Io sarei un uomo come te? Tu saresti un uomo come me? Io non ho niente di quello che hai tu. Ho una casa di merda, in un pulcioso quartiere di merda. Lavoro come uno schiavo cinquanta, sessanta ore alla settimana e sai cosa dice mia moglie? Che ha sposato un perdente. Dice che ha sposato un perdente perché non ho i soldi per il condizionatore. La prossima estate farà anche più caldo dell'anno scorso e lei già comincia a tormentarmi. A proposito, che marca è il tuo?"
"Non ricordo…"
"Fantastico. Che modello è?"
"L'ultimo. Ma se vuoi lo puoi prendere, te lo regalo…"
"Gianmaria, rifletti, non è una questione di roba. Tu puoi risolverla così, io no. Mia moglie ha ragione su una cosa: io sono un perdente, condizionatore o meno. Lo sai i miei due figli cosa dicono di me? Che sono bassi per colpa mia. Non perdonano alla madre di aver sposato un uomo così piccolo. Come credi che mi sia sentito quando ho udito i loro discorsi fuori della porta quando stavo per rientrare, l'altra sera, dopo una massacrante giornata di lavoro?"
"Di cacca?"
"Dì pure di merda. E lo sai che lavoro faccio? Addetto alle vendite, come te. Lavoro anch'io nel marketing, Gianmaria. La differenza è il prodotto. Noi siamo quello che vendiamo, ci dev'essere scritto da qualche parte."
"Cosa vendi?" chiesi realmente interessato.
"Cessi."
Stava per partirmi una risata ma miracolosamente riuscii a trattenerla in gola. Lui comunque mi anticipò: "Puoi ridere, se ti va. Non preoccuparti, lo capisco. Dev'essere ridicolo, per te. Anch'io volevo vendere di meglio, cosa credi? Ho mandato il curriculum a tutti i migliori. Ma tu sai meglio di me quanto conti l'immagine nel nostro mondo."
In effetti non posso nascondere di essere un gran bell'uomo, con i miei capelli neri, gli occhi azzurri e gli addominali scolpiti, ma non ero completamente d'accordo con lui.
"Freddy, l'immagine è importante ma non è tutto. C'è un mio collega, Stefano, che…"
"Gianmaria, mi prendi per scemo? So benissimo che il mio problema non sia solo l'aspetto fisico. Io non ho la cattiveria intelligente. Cioè, se voglio so essere crudele, a mio modo. Come quando ho fatto lo sgambetto a quel maledetto cieco che mi abita di sotto e bussa col bastone quando i miei ragazzi fanno chiasso. Ma ci riesco così, d'istinto, di pancia, senza pensarci su. In questa società un vincente è quello che è capace di ragionare, calcolare e pianificare. Il cieco mi ha denunciato e sto ancora pagando. Non basta essere spietati. Occorre progettualità, occorre. Strategia e tattica, strategia e tattica. Non dirmi di no."
Freddy continuava a dire cose sensate, a mio avviso, ciò non toglie che il mio stomaco mi costrinse ad espellere violentemente il sushi della sera prima.
"Be’", commentò osservandomi vomitare, "almeno questo lo facciamo allo stesso modo."
Quindi prese uno straccio e me lo tirò, rimettendosi a sedere.
"Si può sapere cosa vuoi da me?" chiesi ansimando riprendendomi dai conati.
"Cosa pensi che possa volere l'anima?"
"Non lo so, dimmelo tu."
"E' semplice: la propria vita."
Mi era scoppiato un tremendo mal di testa e lo stomaco mi si era rivoltato come un calzino. La vista mi si era annebbiata ed ero sudato fradicio.
"Freddy, scusami… non capisco cosa vuoi."
"Gianmaria, sveglia, cerca di essere attento. Questo è il nostro attimo. Oh, quanta felicità, quanta felicità. Io sono la tua anima e oggi è arrivato il momento di ricongiungerci per continuare insieme il nostro cammino. Vedi, io sono nato lo stesso giorno in cui sei nato tu: il venti maggio di trentasei anni fa."
Ecco, oltre a pulsare di dolore adesso mi girava anche, la testa.
"Come fai a sapere il giorno del mio compleanno? Come fai sapere tutte queste cose di me?"
Senza rendermene conto mi ero alzato in piedi e un colpo partì. Ricordo solo lo sparo e niente più. Nei western o nei polizieschi gli attori dicono sempre: non è nulla, mi ha colpito di striscio.
Così, come se fosse una carezza. Nel mio caso il proiettile mi aveva aperto un solco di mezzo millimetro sulla tempia destra, facendomi svenire dal panico e dal dolore.
Più tardi, verso mezzogiorno, riaprii gli occhi lentamente. Ero sdraiato sul letto con un asciugamano ben stretto intorno alla testa. Freddy era seduto ai miei piedi è stava scorrendo alcune mie foto. Appena vide che ero sveglio le lasciò andare a terra.
"Gianmaria, come stai? Va meglio? Non è nulla, sai? La ferita è solo lieve…"
Non nascondo il desiderio, nell'attimo subito prima di aprire gli occhi, di aver fatto solo un bruttissimo incubo, ma Freddy, la mia anima, era ancora lì, a fissarmi con i suoi occhi.
"Mi hai sparato…" mormorai.
"Certo. Ma è colpa tua, mi hai spaventato. Non vedi quanto sei grosso ?"
In effetti ho veramente un fisico atletico, ottanta chili di muscoli ben allenati con tanto di personal trainer ed istruttore di nuoto.
"Freddy, io non ho ancora capito cosa tu voglia da me…"
"Gianmaria, amico, fratello. Io sono la tua anima e tu sei il mio corpo. Voglio vivere qui, al tuo posto, come è giusto che sia. Io devo essere quello che desidero grazie a quello che tu sei stato capace di realizzare per noi. Anima e corpo, nessuno deve perdere senza l'uno, nessuno deve vincere senza l'altra. E' una questione di giustizia."
"Scusa, ed io dove vado ad abitare?"
"Da nessuna parte, Gianmaria. Il tuo compito finisce qui, la tua vita finisce qui. Sei stato bravo. Ora è giunto il momento di riposarti."
Non nascondo che il terrore in me aveva raggiunto limiti impressionanti. Stavo tremando come una foglia. Quel folle mi aveva già sparato una volta e ora confermava con tutta calma di avere intenzione di finirmi.
"Freddy", dissi cercando di riprendere la tecnica del guadagnare tempo, "non farmi del male. Io potrei darti tutto quello che c'è qui, se vuoi. Ti lascio anche la casa, ti piace? Ti piace la mia casa?"
"E che me ne faccio? Non basta, non basta…"
"Ti prego, ti supplico, risparmiami", sospirai, mettendomi all'improvviso in ginocchio sul letto, mentre Freddy si alzò e indietreggiò cauto.
"Non piagnucolare così, c'è ancora tempo, sai? La sera è lontana. Intanto ordiniamo da mangiare, ti va?"
Così si fece portare un pranzo cinese di ben dodici piatti. Io non riuscii a mandare giù nulla mentre Freddy si spazzolò tutto in poco tempo.
Quindi, si avvicinò di nuovo al letto, dopo aver ricoperto la mia scrivania color ebano di piatti di plastica e contenitori vari.
"Gianmaria, mio corpo", disse accomodandosi su una sedia alla mia destra, senza smettere di puntarmi addosso la pistola. “Veniamo al tuo secondo compito. Il primo lo hai assolto alla grande. Hai costruito una vita da vero vincente, il meglio che si possa ottenere in una città come la nostra."
"Quale sarebbe il secondo, cazzo ?" strillai ormai in piena crisi di nervi.
"Mi devi insegnare come fare a mantenere tutto ciò. Io non ho saputo conquistarmelo ma, col tuo aiuto, saprò non farmelo portare via."
"Lavorando, lavorando alla grande. Ci vuole stoffa, sai? Come credi che un venditore di cessi potrebbe raggiungere tali livelli?"
"Gianmaria, caro. Non credi che conosca già da me ciò che ci differisce? Non te l'ho appena illustrato?"
Si stava innervosendo anche lui e forse non era il caso. Dovevo stare calmo, dovevo restare calmo.
"Perdonami, la ferita…"
"Non è nulla, non preoccuparti. E poi guarda che quel taglio fa male anche a me. Ricorda che tu sei il mio corpo."
"Allora, dicevamo?" chiesi per farlo continuare a parlare.
"Dicevo che mi occorre sapere come hai ottenuto quello che hai. Non ho altro modo per sperare di riuscire a conservarlo. Illuminami: come si diventa Gianmaria Martini?"
Devo dire che fu una cosa paradossalmente piacevole. Nonostante la testa a pezzi, il sangue appiccicato su di essa, lo stomaco frantumato, l'angoscia di quella giornata, il pomeriggio scivolò via come l'acqua.
Ricordare gli anni della scuola fu uno spasso. Fu lì che imparai l'arte dell'aggiramento, dell'astuto salto degli ostacoli per arrivare alla meta il prima possibile. Efficienza e risultati, sempre insieme, altro che anima e corpo. In qualsiasi mondo sono entrato è stato così. All'università funzionò allo stesso identico modo. Ma ancora prima fu lo stile giusto in famiglia, più che mai lodato da mio padre. Lui era un po' come Freddy, un perdente. Certo non era un pazzo, come lui. Piuttosto ne era consapevole. Per questo aveva riposto in me ogni speranza di una vita diversa. Adesso è morto, come mia madre, del resto. A lei non sono mai piaciuto veramente, a dir la verità. Amore sì, di quello me ne aveva donato tanto, ma stima, bah, nulla da fare. Che volete farci, lei era come tutte le donne della sua epoca, con la loro cronica incapacità a non essere romantiche. Per fortuna le femmine della mia generazione non sono così. Hanno compreso l'importanza del vivere la vita per quello che è, senza fronzoli. Anche se questo comporta sporcarsi un po' le mutande. Cazzo, che metafora che m'è uscita! E non sono uno scrittore, eh? Insomma, raccontai a Freddy che la mia vita, dal momento in cui feci mio lo stile maturato nel tempo, è stata solo in discesa. Che stile? Al diavolo gli scrupoli morali ed etici, perché non hanno senso né i primi e tantomeno i secondi, al diavolo i castelli in aria perché mentre te li stai a disegnare nella tua testa fatata c'è qualcuno che te lo butta nel didietro, al diavolo le ideologie perché fortunatamente la società ha capito che non ne ha bisogno per arrivare alla fine della giornata, infine al diavolo chiunque si ponga fra me e quello che voglio perché la sua sconfitta significa la mia vittoria.
Era sera inoltrata quando finii la mia lezione: la vita secondo Gianmaria Martini. Ero stanco, sudato stremato ma incredibilmente soddisfatto, proprio come un professore di fronte ai propri alunni dopo averli illuminati con la propria erudizione. Avevo involontariamente abbassato la testa e la alzai per incontrare gli occhi di Freddy. L'omino era lì, di fronte a me. Immobile, con la pistola in grembo tra le mani. Attento, con la bocca serrata e lo sguardo fisso su di me. Tuttavia, i suoi occhi erano pieni di lacrime, rossi e gonfi di lacrime. Non aveva pianto. Le gocce erano rimaste tutte aggrappate agli occhi, come se non avessero avuto il coraggio di precipitare giù, lungo le guance.
Quindi, mentre una di loro si decise ad aprire la strada alle altre, Freddy parlò.
"Gianmaria, bravo. Tu sì che sei un vincente. Hai capito perfettamente cosa serva per riuscire ad arrivare in cima. E ci arriverai, oh, se ci arriverai."
Nel frattempo continuava a piangere a dirotto. "Te lo meriti, te lo sei guadagnato. Nessuno ti ha regalato nulla e hai lavorato tanto per quello che hai. Sei stato abile, furbo, veloce. Ah, la velocità. Che grande qualità. Il mondo è tuo. E' giusto così."
E fu in quel momento che avvenne l'inaspettato. Freddy abbandonò la pistola a terra e si gettò con la faccia sul letto, travolto dalle lacrime. Io non sapevo cosa fare, ero come paralizzato. Così, vedendo che non si muoveva, mi avvicinai e gli misi una mano sulla spalla, sistemandomi opportunamente tra lui e l'arma, è ovvio.
"Freddy ?" sussurrai.
L'uomo alzò la testa e con il viso rosso, rigato dal pianto, mi disse con voce rotta: "Gianmaria, non posso unirmi a te. Non ne sono degno. Io, la tua anima, non sono alla tua altezza…"
E giù a piangere.
"Ma no", mi ritrovai a dirgli, "Freddy, ma che dici. Tu saresti un perfetto… Gianmaria."
Si alzò in piedi cercando di pulirsi la faccia e ricomporsi. Quindi mormorò mesto: "Io non durerei un'ora nella tua vita. In essa non c'è posto per me. In questo mondo tu fai il tuo viaggio e io il mio e a nessuno importa nulla. Sai perché? Perché a te l'anima non serve. Puoi vivere benissimo anche senza. Sono io che non riesco a continuare senza di te, non essendo come te."
Così, Freddy ha raccolto la sua pistola e se ne è andato, senza neanche salutarmi.
Ecco, questo è tutto.
Non so cosa dire, è difficile commentare la giornata di oggi. Credo che non avrò più una giornata come questa. Forse, più avanti, rileggendo queste righe, saprò farmene un'idea migliore, più chiara.
Una cosa però è certa. Una cosa che ha creato in me un'angoscia insopprimibile.
Ieri sera sono andato a letto che mi sentivo un dio, un re dei re. E ora, qui, solo, nella mia elegante casa nel centro di Milano, io, Gianmaria Martini, un vincente senza ombra di dubbio, sento dentro una cazzo di tristezza enorme, dentro ad un buco che non riesco a capire dove inizi e dove abbia fine.

Racconto pubblicato nella raccolta Mondo giovane, La Ginestra Editrice, 2006.

Commenti