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Storia d'amore contrastata: Nicolai e Olga

Nicolai Barlokkin e la lucertola che imparò a miagolare

di
Alessandro Ghebreigziabiher


1

Nicolai Barlokkin nacque a Mosca il 19 settembre del 1902 da una famiglia dell’alta borghesia russa.
I genitori, entrambi professori universitari, fin dai primi mesi gli impartirono una rigida educazione, fondata su principi, doveri e, soprattutto, insegnamenti di natura etica.
Dal canto suo, il piccolo Nicolai maturò nel tempo un odio smisurato per la morale, con qualsiasi forma essa si presentasse.
Bontà, gentilezza, altruismo, generosità erano parole che scatenavano in lui una particolare allergia, quanto mai violenta se contenute in detti e aforismi densi di valore etico e formativo.
Sin dalla primissima infanzia tutte le volte che la madre, Veruschka, usava frasi che amava tanto, tipo: “La gentilezza compra tutto e non costa niente” ,“Essere altruisti è un regalo per se stessi e non per gli altri”, e più che mai “Ciò che dai al prossimo prima o poi ti torna indietro centuplicato”, causava nel bambino una strana forma di reazione allergica, con eruzioni cutanee che rendevano la sua pelle ruvida e squamosa, molto simile a quella di un rettile.
Il padre, Oleg, condusse suo figlio dai migliori specialisti, da sacerdoti, perfino da maghi e fattucchiere, tuttavia il risultato era sempre un grande interrogativo sulla misteriosa intolleranza di Nicolai.
Lo strano fenomeno si ripeté anche a scuola.
Un giorno la maestra lo riprese perché non aveva fatto i compiti e il nostro giustificò la cosa attribuendo la responsabilità ad un fantomatico maremoto, colpevole di aver spazzato via la sua casa.
L’insegnante lo ammonì, senza essere troppo severa, ma tenne a sottolineare in questo modo, a lui come al resto della classe, l’importanza della sincerità: “Le bugie”, recitò con enfasi, “hanno le gambe corte e dire la verità prima o poi ripaga”.
Poche frazioni di secondo e la trasformazione ebbe inizio. Nell’aula si diffuse lo stupore e l’aspetto di Nicolai, oltre alla preoccupazione della maestra, suscitò l’ilarità generale, facendogli guadagnare il soprannome di ‘Lucertola’ Barlokkin.



2

L’adolescenza di Nicolai fu molto dura.
Né i genitori, né le istituzioni preposte, e tanto meno il ragazzo stesso, riuscivano a collegare la vistosa reazione allergica con le affermazioni di carattere moralistico che un attimo prima della trasformazione venivano pronunciate. Tuttavia Lucertola Barlokkin, ormai noto in questo modo nel quartiere, trovò nella relazione con una ragazza molto più grande di lui, un sostegno per sopportare le difficoltà della sua natura.
Si trattava di Olga Belova, una giovane donna con un conflittuale rapporto con i genitori.
Ella, fin da bambina, si dimostrò dotata di un notevole scilinguagnolo, probabilmente dovuto alle celate origini italiane, per la precisione partenopee, del padre, tale Ciro Espositov.
La figlia assunse in seguito il cognome della mamma, Irina Belova.
L’incessante parlantina le creò fin da piccola non pochi problemi in quanto si manifestava con un continuo ‘sebbene’.
Ad esempio, quand’era bambina: “Olga, hai fatto i compiti?” chiedeva la madre.
“Certo, mamma. Sebbene non ne avessi voglia.”
“E perché non ne avevi?”
“Ero distratta dal nitrire dei cavalli nella stalla. Sebbene io sia abituata ai loro versi.”
“Di quali cavalli parli, Olga? Siamo al quinto piano, al centro di Mosca.”
“E’ vero, siamo al quinto. Sebbene il primo non conti poiché è un piano rialzato.”
E così, di sebbene in sebbene, andava avanti per ore, snervando i due poveri genitori.
All’età di ventisei anni la ragazza vide Nicolai appena quindicenne, solo su una panchina, mentre i compagni si divertivano giocando con una palla.
Lei si avvicinò e gli chiese: “Perché non giochi insieme agli altri? Sebbene il calcio sia a mio avviso uno sport sopravvalutato.”
Il nostro così rispose: “L’ultima volta, durante la partita, ho fatto lo sgambetto ad un avversario e questi è caduto, graffiandosi il ginocchio. Ha cominciato a piangere ed è arrivato il padre che mi ha detto: Nicolai, non devi essere così accanito: l’importante è partecipare. E poi è successa una cosa che è meglio non vedere.”
“Sei un tipo interessante, sai?” fece lei. “Sebbene un po’ ermetico.”
Sebbene che?”
E così ebbe inizio la loro relazione.

Continua...

Brano tratto da L'intervallo, romanzo, Intermezzi Editore (2008)

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