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Storie di ragazze e ragazzi: Il regno dove non si poteva leggere

Il regno dove non si poteva leggere

di
Alessandro Ghebreigziabiher



C’era una volta un regno dove si poteva fare di tutto.
Davvero tutto.
Così, proprio per dare un’idea, vi dico che avreste potuto imbattervi in una macchina parcheggiata addirittura in quarta fila e, di fronte alle rimostranze dell’unico automobilista in regola, ammirare in sequenza: quello in seconda inveire su quello in terza, a sua volta apostrofare quello in quarta, quest’ultimo di tutta risposta imbestialito con gli altri due, ma tutti e tre alla fine concordi nel malmenare il primo.
Il solo nel giusto.
E questo è niente.
L’assurdità più devastante era il potere delle parole.
Dette.
Si poteva dire di tutto, a tutti, in ogni momento e con qualsiasi bersaglio.
Del corpo come del cuore.
O del fegato, fate voi.
Perché altrimenti dove la mettiamo la mia libertà?
Ecco, questa era la solita obiezione che puntualmente veniva sciorinata.
Bella, la totale libertà, regno invidiabile, da molti punti di vista, ma… c’era un ma, ecco.
Si poteva fare di tutto, ma c’era una cosa che nessuno avrebbe potuto fare.
Leggere.
Non si poteva leggere.
Libri, è chiaro, ma anche giornali e riviste, dall’architettura babilonese al gossip più becero, pubblicazioni di ogni tipo e settore, perfino di allevamento di pitoni e per collezionisti di cicatrici.
Non potevi leggere le avvertenze sui medicinali e soprattutto le note scritte in piccolo nei contratti, perché non potevi leggere la facciata, figuriamoci la fregatura alle spalle.
Non potevi leggere le notizie, quindi nessuno sapeva nulla del mondo al di là dell’attimo, la strada di ieri, la collina di domani, la valle dell’ora.
La geografia intera degli accadimenti era pura nebbia.
Rischiarata solo dal dire.
Dire tutto quel che ti passasse per la testa, la pancia e qualche altra parte del corpo che non ripeto per falso pudore.
Ora, direte voi, data l’abitudine alla libertà totale, perché i cittadini obbedivano a quell’unico divieto?
Non sarebbe stato naturale opporsi e sforzarsi di disobbedire proprio a quella sola limitazione?
In breve, vado a scavar lì, proprio perché da lì mi hai tenuto lontano, come disse il pirata barbanera prima di lanciarsi alla ricerca del tesoro nascosto da sua moglie per punirlo dei suoi ripetuti adulteri. Per la cronaca, non trovò nulla nello scrigno finalmente scoperto in punto di morte, tranne un biglietto: il tesoro lo hai perso il giorno che mi hai tradito.
Questo perché all’epoca si poteva leggere.
Nondimeno, niente da fare, nessuno trasgrediva, neanche per dispetto.
All’improvvisofinchésino al giorno in cuideus ex machina da due soldipuerile forzatura del testo per poter giungere al termine del racconto, scegliete voi la svolta nel testo che preferite, arrivò l’istante in cui qualcuno svelò il mistero.
Il privilegio spettò a una ragazzina di appena undici anni, sordomuta e cieca.
Prese una penna e iniziò a scrivere una favola.
Senza ascoltare i rumori del regno.
Senza vederne gli scarabocchi nel cielo e sulla terra.
Senza preoccuparsi se la sua storia fosse letta o meno, perché nel regno nessuno leggeva.
Senza curarsi quindi delle possibili stroncature, ma anche dei sentiti elogi.
Scrisse quel che aveva da scrivere e basta.
Oh, non ci crederete, ma anche in questo momento, tutti gli abitanti del regno, nessuno escluso.
Stanno ancora leggendo e rileggendo il suo racconto.

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