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Domani smettono

Domani smettono

di
Alessandro Ghebreigziabiher

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In un giorno qualsiasi, lì, avanti, ovvero da qualche parte, sicché il tempo, come le storie, è tutto fuorché lineare.
“Silenzio, prego”, disse il signor VHS, “stiamo per cominciare.”
“Posso finire di fumare?” chiese la signorina

Alessandro Ghebreigziabiher
Microonde dall’esterno della sala, in corridoio.
“Fuma un altro po’ e vai in cenere”, osservò sempre pungente il vecchio Rasoio elettrico.
“Mi dispiace”, rispose la videocassetta con tono inflessibile, malgrado l’espressione bonaria, “ma oggi i secondi sono preziosi per almeno uno tra noi.”
Quindi spostò eloquentemente lo sguardo verso uno degli ospiti in prima fila.
Costui era al suo primo incontro con gli EA, gli Elettrodomestici Anonimi.
Prima di tutto, probabilmente a ragione, nel suo caso l’aggettivo domestico non lo riteneva affatto consono, visto il totale grado di mobilità che lo contraddistingueva.
Secondo, come tutti i novizi del gruppo, non era ancora capace di accogliere pienamente la realtà dei fatti, rappresentata dalla scritta campeggiante sulla lavagna, nonché tema dell’appuntamento.
La signorina scalda cibi raggiunse gli altri e VHS si schiarì la voce, prima di dare il via alla seduta.
“Per cominciare, vorrei congratularmi con la nostra amica Aspirapolvere per i progressi fatti. Vorrei che venisse qui a dare la sua testimonianza.”
L’interessata raggiunse il podio e con la calma autorevolezza di chi sa di aver compiuto un decisivo salto evolutivo parlò agli astanti: “Io sono una macchina e nessuno più mi userà.”
Io sono una macchina, nessuno più mi userà e questa è la mia fortuna”, risposero gli altri, seguendo la formula di rito.
“Ricordo ancora quando venni qui la prima volta. Ero del tutto fuori di me, la mia pancia era in fiamme quasi quanto la mia testa, ignorando quanto fosse assurda e umiliante la mia vocazione. Quella di nutrirmi dell’immondizia del mondo, come se la polvere della vita altrui fosse il meglio che potessi meritarmi. Gettata via come voi tutti, perché sorpassata e ormai inutile, avevo occluso occhi e labbra, priva di ogni ragione di vita. Poi, grazie alla condivisione delle speranze, non solo dei vuoti, delle più irrealizzabili intuizioni, oltre che delle incancellabili ferite, delle meno ragionevoli tra le utopie ho capito. Ho capito che non dovevo smettere di aspirare a qualcosa di meglio. Ecco, chiamatemi così, da oggi in poi: colei che aspira a tutto, fuorché la polvere.”
Un applauso scrosciante la sommerse e quindi tornò al posto.
“Eccoci al clou della serata”, disse VHS fissando qualcuno in particolare. “Prego, tocca a te.”
Il nostro si alzò con esagerata lentezza e tremante raggiunse la postazione per i discorsi.
“Salve a tutti”, esordì con palese emozione nella voce.
“La formula…” gli ricordò la videocassetta.
“Ah, giusto. Io sono una macchina e nessuno più mi userà.”
Di seguito il coro di risposta.
Quindi seguì un silenzio assoluto.
Il protagonista dell’incontro spostò ancora una volta lo sguardo verso la scritta di cui sopra.
Quindi fece una attenta carrellata dei presenti, i quali lo osservavano con pazienza, perfettamente consci del suo stato d’animo.
Una tv in bianco e nero con una voluminosa manopola e una macchina fotografica polaroid, un monitor da computer grande come un frigorifero e un frigorifero grande come un’automobile, una stampante ad aghi e perfino un registratore per audio nastri.
Tra tutti, i suoi occhi si incrociarono, ovvero, abbracciarono con un grigio telefono a cornetta e un cordless.
Qualcosa di lui cominciò ad accettare il destino.
Ad accettare se stesso.
E, più che mai, la ritrovata libertà.
Con un inaspettato afflato di pura compassione verso i suoi ormai ex utilizzatori, ben lungi dall’affrancarsi da loro, prese fiato e si limitò a recitare il tema del giorno, nonché vigilia di un ennesimo addio.
“Domani smettono. Domani smettono di usare i cellulari.”
Hanno inventato qualcos’altro per dipendere da noi.


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