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Visualizzazione dei post da giugno, 2016

Non aver paura

Non aver paura di Alessandro Ghebreigziabiher Sono così, le meraviglie della vita. Soprattutto nelle prime, perfette grazie al tempo che scorre, volte che le incontri. Che le vivi. Ecco, alla fine di tutto la storia, la nostra, potrebbe essere spiegata così. Senza spiegarla. Limitandosi alla mera diretta. E che gli altri, tra semplici passanti, inguaribili spioni o penne ambiziose travestite da testimoni, si prendano pure la briga di raccontare. Come da copione, nei giorni successivi domande arrossite e allusioni fastidiose, risposte non richieste e consigli mal riposti avevano sfilato in massa nella mia testa. La tipica testa di un’adolescente che, a differenza di quella di un esemplare del cosiddetto sesso forte, si presta al transito di emozioni e narrazioni del momento con una ospitalità molto più generosa. E’ che le femmine sono più ingenue da molto giovani, dicono, ma poi crescono e si dimostrano più sveglie. Sarà. Dal canto mio ho sempre pensato che, stri

La ragazza che fissava

La ragazza che fissava di Alessandro Ghebreigziabiher Entriamo nella stanza della prof. Con la prof e lei, la ragazza che veniva da lontano. Più precisamente, la ragazza che fissava . “Non ce l’hanno con te, Nadira. “Devi provare a capirli, perché l’ho notato anche io. “E spero tu abbia chiaro che neppure io ce l’ho con te, sono qui per aiutarti, sono solo la tua professoressa di lettere, non sono tua madre, ma questo non vuol dire che non desideri il meglio per te. “Vorrei che tu fossi serena, in fin dei conti. “Ma è vero che fissi gli altri, non puoi negarlo. Lo hai fatto con tutti, in classe. Certe volte lo fai anche con me, non mi dai fastidio, sia ben chiaro, ma lo vedo che mi guardi e continui anche se smetto di parlare. “E poi parli poco e questo non aiuta, Nadira. “Se parlassi di più con i tuoi compagni, anche durante le lezioni, non sarebbe male. “Hai questi occhioni grandi, belli, eh? Davvero intensi, marroni con una pennellata di verde, proprio come un

Stasera c'è la partita

Stasera c'è la partita di Alessandro Ghebreigziabiher Ruggero era solo annoiato e aveva voglia di scherzare. Mario era semplicemente ansioso di tornare a casa. Fretta e noia. Noia e fretta e tutta la storia è fatta. Mario entrò nella piazzola sgommando, tipo gli agenti che arrivano nella zona incriminata e scendono dall’auto con prode balzo, decisi a catturare il malvivente. A proteggere e servire. Servire e proteggere e il racconto è scritto. Ruggero uscì dal gabbiotto in cui era solito difendersi dalle calure estive e dalle sempiterne violenze del consueto traffico cittadino. “Buonasera”, fece come se si fossero incontrati nel parco, tranquilli passeggiatori della domenica in un ameno brandello di verde sottratto al cemento. “Come va?” “Bene, grazie”, rispose Mario senza degnare l’altro di uno sguardo. “Mi faccia il pieno, è aperto.” E’ aperto quel che deve esser tale, pronto a inghiottire il necessario, la minima soglia concessa al nuovo e al diverso, c

Ho perso la svolta

Ho perso la svolta di Alessandro Ghebreigziabiher Non ho fatto tardi. Ce l’ho fatta comunque e tutto è andato per il meglio. Malgrado quel che pensavo. Partendo dall’inizio, sono uscita di casa più o meno alla solita ora, quel giorno. Forse un po’ prima. E solo una volta prigioniera del traffico ho avuto modo di riflettere sull’insistenza dell’atto. Come il piede che inevitabilmente va e torna, ancora e ancora, di nuovo si lascia andare sull’acceleratore. Allo stesso modo, è ogni giorno un po’ prima che mi arrendo. Che cedo una parte di me. Di te. Ma questo è il passato. La realtà è che stavolta non ho fatto tardi, figlio mio. Ce l’ho fatta davvero e tutto è andato bene. Nonostante le premesse. Tornando al racconto, il resto della sequenza si è dipanato sul noioso, tirannico schermo chiamato parabrezza e l’auto, insieme a tutte le altre intorno a me, mi ha condotto sulla solita via, la solita curva, il solito semaforo e la solita piazza. E’ questo l’incide

Storie di immigrati: le tre domande

Le tre domande di Alessandro Ghebreigziabiher E’ un sogno, pensò lui . Dev’esserlo, sperò, più che altro. Lei era lì insieme all’altro, ai piedi del suo letto, come nelle favole di una volta. Permettimi uno sfogo, disse lei. L’altro rimase in silenzio. Lui non rispose. Non avrebbe potuto nemmeno se lo avesse voluto davvero. Neppure se fosse stato sveglio. Sono stanca, dichiarò lei. Io sono stanca, ripeté. Perché tu non lo sei? Questa è la mia prima domanda. Come fai a non esaurire la voglia di tutto questo? Come fai a pronunciare ancora tali parole? E le hai dette, non negarlo, oh se le hai dette. Senza andare troppo lontano, dicesti che gli ebrei, in fondo, se lo meritano l’inferno, per quello che hanno fatto a nostro signore, perché sono attaccati ai soldi, che vivono solo tra di loro e non si integrano. Dicesti anche che, dopo tutto, gli africani hanno fatto un affare a essere catturati e portati nel nuovo mondo, perché qui hanno sofferto, certo, ma