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Storie di fantascienza: il pianeta Insomma

Il pianeta Insomma

di
Alessandro Ghebreigziabiher

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Alessandro GhebreigziabiherC’è un pianeta.
Non so dire dove sia, insomma.
E se lo sapessi spiegare, non sono certo che lo scriverei qui, ora.
Non sono certo di alcunché.
Per questo spero che quando arriverò mi faranno perlomeno atterrare.
Oh, ma perdonate, insomma, non mi sono ancora presentato.
Di me dicono poche cose..
La più ricorrente è che abuso di una parola: insomma.
Che volete farci, mi piace il suono, non il significato. Ecco perché spero vivamente che i puristi della grammatica in ascolto, laddove ne riscontreranno l’inopportuna presenza, si dimostreranno clementi.
D’altra parte, innanzi al diffuso abuso di ben altro attorno a noi, credo che quello delle parole mi renda un colpevole di grado tollerabile.
C’è un pianeta, dicevo, insomma.
Senti, chiamiamolo così, "pianeta insomma", così almeno il vocabolo troverà un’istanza coerente in questo mio confuso componimento.
Su questo pianeta non ci sono scuole, università e dottorati vari.
Nel mezzo non v’è traccia di medie e superiori, inferiori e paritarie.
Non vi sono master e corsi di ogni tipo.
Le cose si sanno o non si sanno fare.
E nell’ultimo caso, non si fanno.
Insomma, gli abitanti hanno, come dire, un’esistenza binaria.
Insomma, fare o stare in panciolle, senza compromessi ma con tutti i diritti garantiti.
Da cui vantaggi non comuni.
Ad esempio, nessuno si sognerebbe sul pianeta insomma di accusare chicchessia di "pigrizia".
Parola che insomma poi non esiste, laggiù.
Così come non ci sono "ozio" e "perdigiorno", "nullafacente" e soprattutto "accidia".
Sarebbe stato sufficiente quest’ultimo aneddoto a convincermi a costruire l’astronave sulla quale mi trovo ora e partire per Insomma, meglio che usi il maiuscolo altrimenti si confonde con tutti gli altri.
Confesso che ho sempre avuto paura dell’accidia, se non altro fino al momento in cui ne ho scoperto il vero significato.
Tra tutti i noti vizi è sempre quello che ho temuto di più.
Sarà insomma perché presto maggiore attenzione alla musica delle lettere piuttosto che al reale peso che hanno nella nostra vita.
Tornando alla vita su Insomma, il pianeta che proprio adesso ho avvistato attraverso l’oblò, non crediate che in assenza di un’istruzione ben regolata gli abitanti si comportino come una massa di barbari incolti e aridi di mente e passioni alte.
Tutt’altro.
Di coloro che su Insomma se ne stiano per niente affaccendati non posso dir molto, ma per tutti gli altri il talento parla per loro.
Gli Insommiani fanno perché sono bravi.
Ovvero, fanno solo ciò in cui sono bravi.
E non per vanità o altri fini, perché non esiste pubblico pagante o meno, fan adoranti o critici spietati.
Tutti quel che fanno, e splendidamente peraltro, non avrebbero tempo per applaudire alle imprese altrui perché concentrati sul proprio fare.
Tutti gli altri sono quelli che non fanno.
Nulla.
Figuriamoci saltare come indemoniati e strillare il nome della stella adorata sul palco della vita, per poi lanciarsi a caccia di briciole dell’altrui notorietà.
Allora, insomma, ecco, indi per cui, vedi un po’ – ho messo altra roba a caso per distogliere l’attenzione dal noioso lemma – qualcuno tra voi si starà chiedendo: ma su questo pianeta ci sarà pure un qualche tipo di prova, esame o simile.
Sì, c’è.
È il motivo principale per il quale in questo preciso momento sto atterrando sulla superficie.
C’è un pianeta.
Insomma.
E questo è il nome.
Dove per poter avere il privilegio di fare.
Per poi smettere.
E far di nuovo.
Bisogna dimostrare di saper riconoscere l'altro, laddove lo si incontri per la prima volta.
Senza sapere qualsiasi cosa del nome o di dove provenga.
Delle origini dell’abito come dell’ennesimo trascurabile indizio.
Del modo e del perché.
È sufficiente che sia qui, con noi.
Come se all’improvviso, da quello stesso nulla da cui tutti veniamo saltasse fuori.
Spero proprio di superare il test.
Perché desidero riuscirci anch’io.
Ho sempre desiderato di essere degno.
Di questo tipo.
Di fare.

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