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Storie di donne: La donna che non dimentica

La donna che non dimentica

di
Alessandro Ghebreigziabiher



C’era una volta un’anziana donna.
Una donna con una memoria da far paura.
Agli uomini, prima di tutto.
Poiché, laddove si narri che molti tra il cosiddetto lato forte della luna temano le menti dotate tra l’altrettanto supposto gentil sesso, se c’è una cosa che terrorizzi ulteriormente il cavaliere sul campo e la dama che non dimentica.
Ecco, così era detta nel quartiere.
La signora che non dimentica.
Per tale ragione, allorché ti fossi presentato alla di lei libreria per acquistare il famigerato libro nonricordoiltitolo, aggiungendo i soliti unici indizi, lohascrittoquellolìconlabarba e conlacopertinarossa, eri sicuro che prima o poi avrebbe risolto l’enigma.
Più prima che poi.
E si sa, sono i più prima che poi che si distinguono tra i più.
Che poi.
Ora, si da il caso che anche per la donna dall’hard disk sempre in ordine giunse il giorno della débâcle.
Come dire, anche i giganti cadono.
E più il gigante è tale e altrettanto è rumoroso il botto.
Capitò difatti che la nostra avesse dimenticato di pagare una multa.
Molti anni addietro.
Cosicché, la suddetta aveva compiuto il classico mostruoso percorso mutante.
O multante, fate voi.
Dalla multa alla multa con maggiorazione, dalla multa con maggiorazione alla multa per non aver pagato la multa con maggiorazione.
Per passare alla multa con maggiorazione per non aver pagato la multa con maggiorazione.
Per poi salire all’anello superiore, ovvero scendere di girone infernale, e trasformarsi in una rovente cartella esattoriale.
Lasciata a marcire negli anni, agevolandone la metamorfosi in un’orribile ingiunzione di pagamento traboccante sangue e livore.
Inutile dire che la signora che non dimentica non gradì affatto di dover mutare soprannome.
Che non dimenticava, insomma.
Così, a dir poco mestamente si recò all’ufficio riscossioni.
Fece la triste fila di anime rigorosamente col capo chino e il portafogli tremante.
E una volta giunto il proprio turno levò la testa verso l’incaricato.
Che splendore la luce di un ricordo mai sopita.
A riprova del fatto che non è vero che solo il riso allunghi la vita, ma anche la memoria.
Perché è la memoria stessa a nutrirsi del vivere.
“Antonio…” disse la donna che non dimentica, malgrado un’unica eccezione. “Il mio primo amore all’asilo…”
L’uomo, altrettanto attempato, non si rammentò affatto di lei.
Ma fu così felice anche solo dell’idea di tal gaudioso ricordo da chiederle di raccontarglielo come una storia più volte, mettendo a dura prova la pazienza dei morosi incolonnati.
Soprattutto, si dimenticarono entrambi della maledetta multa.
E di ogni sua terribile derivazione…

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