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Figli di una coppia mista: le avventure di Tramonto

Le avventure di Tramonto

di
Alessandro Ghebreigziabiher


Col tempo mi resi conto che i problemi di convivenza non erano con le persone in particolare, essendo fragili e complicate quanto me stesso, ma con delle cose nascoste dentro di noi.
Il primo impatto con questo segreto nemico fu fin dalla prima infanzia, quando mi avvicinai al mondo dei giocattoli.
Mondo pieno di pupazzi e soldatini che erano tutti costruiti per quelle che allora chiamavo le "creature del giorno".
Erano troppo chiari per me, non ve n'era uno a cui assomigliassi. Una volta, esasperato, presi un pupazzo, e lo sporcai in viso col pennarello marrone, per renderlo più familiare.
Lo stesso accadde con i cartoni animati e i fumetti.
Mi piacevano molto quelli i cui protagonisti erano dei supereroi, con poteri soprannaturali, in grado di volare e di difendere i più deboli. O forse mi interessava solo difendere me stesso.
Per mia sfortuna, il meno chiaro di essi era Hulk, che comunque era verde e lo diventava solo quando lo facevano arrabbiare.
Così, raggiunta l’adolescenza, scoprii il mondo della musica e dei cantanti.
La prima star ad entrare nei miei sogni di diritto fu Michael Jackson: nero e pieno di talento. Non potevo chiedere di meglio. Appariva ballando, in mezzo a cadaveri e delinquenti, senza paura, e piaceva a tutti.
Non avrei dovuto fidarmi.
Che delusione.
Il primo mito in cui riconoscermi e questo nel giro di tre anni si fa il naso all'insù, si restringe le labbra e diventa addirittura bianco.
Avrà pensato di essere troppo bravo, per essere un nero, mi sono detto allora.
Ritornando all'infanzia, il periodo più difficile dell'anno era proprio quello che per tutti i bambini è da sempre il più divertente: il carnevale.
All'inizio lo fu anche per me, lo ammetto, ma dopo il terzo anno col costume da arabo, col turbante annesso, maschera che mi riusciva indubbiamente credibile, cominciai a desiderare qualcosa di nuovo.
E poi, a me piaceva il costume da principe azzurro.
Un anno convinsi i miei a farmelo indossare. Uscii in strada tutto contento e la portinaia, appena mi vide, esclamò: “Ma tu guarda che bel vestito da arabo! Sembra vero."
Fu demoralizzante.
Una sera, sempre a carnevale, mi misi una maschera che copriva completamente il viso, era una specie di mostro marino.
Ebbene, passeggiando in strada, misi le mani in tasca e scoprii che in quel modo mi sentivo al sicuro, quasi inosservato, perché nessuno poteva notare il vero colore, quello che stava sotto, nascosto. Ma qual è il vero colore? Quello che vediamo noi o quello che vedono gli altri?
Da bambino, ve lo giuro, ebbi una discussione con i miei perché mi guardavo i palmi delle mani e dicevo di essere rosa.
D'accordo il dorso della mano era più scuro, ma sotto era rosa, un colore tutto mio. Ma se non lo vedevano i miei genitori, figuriamoci i compagni a scuola, gli amici in strada.
Dopo un'infanzia turbolenta a scuola, capii che ogni compagno di classe aveva un genitore che vedeva il mio colore in modo diverso.
C’erano i genitori "curiosi", come la madre di un mio amico, con cui facevo i compiti insieme, la quale non faceva che chiedermi seria, credetemi, se in Africa si parlasse l'africano e se i leoni potessero girare liberi per le strade addomesticati.
Ma c’erano anche alcune "premurose" maestre, le quali non facevano che avvertirmi che in quel piatto o in quell'altro c'era della carne, proibita dalla mia presunta religione.
Il fatto è che non sono musulmano, nonostante le apparenze.
Poi c’erano i genitori che mi ammiravano: “Ma che bel colore che hai, ce l'avessi io, che devo farmi la lampada, una volta al mese.”
Quelli che mi invidiavano: “Ma tu al mare ti abbronzi? Beato te che non ti scotti e che non devi usare creme.”
Sfatiamo un falso mito: non è vero. Mi scotto eccome e mi serve la crema.
E quelli che mi stimavano: "Voi neri avete il ritmo nel sangue, la musica nell'anima e il blues nel cuore!"
Ma che sono uno stereo?
Dimenticavo i genitori che non ricordavano il mio nome: “Come si chiama quel ragazzo? Quello... Hai capito, no? Quello con la pelle scu... ehm, di colore! Senza offesa, eh?”
Ecco, non c'è problema, capisco la difficoltà, ma perché devi dire senza offesa? E' quello che rovina tutto.
Infine ci sono i migliori.
Non i paladini dell'uguaglianza, perché non è vero che siamo tutti banalmente uguali ma tutti splendidamente diversi e unici, non i fautori della tolleranza, perché le diversità non vanno tollerate, sopportate, accettate, ma vanno ricercate, amate, sono ricchezze.
Sono quelli per i quali i colori sono solo dei semplici particolari, come l'altezza e il sesso.
Particolari che sono solo il contorno, la cornice del quadro che mettiamo in scena giorno per giorno.
Quadro che lentamente e vorticosamente allo stesso tempo, ogni attimo della nostra vita inconsapevole, si riempie non di colori, ma di corpi che si sfiorano, di parole che precipitano nel profondo, taglienti, di battiti accelerati a ritmi trascinanti, di respiri ansimati, soffocati, liberati, si riempie non di noi ma degli altri, di tutte le persone che passano nella nostra vita, di tutte le persone diverse da noi.

Tratto da Tramonto, libro (2002) e spettacolo di teatro narrazione (2009).

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Il video tratto dal testo:



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