Cose con gli angoli
di
Alessandro Ghebreigziabiher
Daniela aveva un’abitudine, tra le molte.
Odiava uscire dalla sala ai titoli di coda.
E’ parte del film, diceva sempre. Qualcuno ha lavorato per scrivere quelle cose e il lavoro, tutto, merita attenzione e rispetto.
Come il sipario, per capirci. C’è qualcuno che ha cucito insieme la stoffa e c’è perfino quello che l’ha inventato.
Niente andrebbe mai del tutto dimenticato.
Francesca, invece, ne aveva un’altra.
Odiava anche lei uscire ai titoli di coda, ma la sua vera fissazione era guardare.
Guardare quelli che rimangono in sala mentre scorrono i titoli di coda.
Qualcuno ha scritto in quei visi, con la propria stessa vita.
E qualcosa di questo merita essere rammentato.
“Sta piangendo”, disse Francesca indicando con il pollice alle proprie spalle.
“Chi?” domandò Daniela.
“La vecchietta due file più dietro.”
L’amica si voltò, cercando di farlo nel modo meno invasivo, e la vide.
La vegliarda dalla faccia vistosamente rigata dalle lacrime e gli occhi grandi e azzurri altrettanto umidi.
“Ma come fa a commuoversi con un film di supereroi?” osservò Daniela.
“Non lo so”, rispose l’altra. “E voglio scoprirlo.”
Quindi si alzò e seguita dalla compagna detective raggiunse l’anziana donna, sedendosi alla destra di quest’ultima.
Daniela si accomodò sul sedile alla sua sinistra.
“Tutto bene, signora?”
Dopo un tempo, solo in apparenza interminabile, la vecchina si accorse di Francesca, muovendo lentamente il capo nella sua direzione.
Quindi fece lo stesso con Daniela.
“Sì”, rispose.
“Sicura?” insistette Francesca.
“Sì”, confermò lei. “Sicura. Sto solo pensando a mio figlio.”
“Suo figlio?” ripeté Daniela.
“Sì, mio figlio. Anche lui era un supereroe.”
“Davvero?” domandò Francesca, ancora più curiosa di prima, così come l’amica.
“Certo. Me lo rivelò una mattina di inizio dicembre, aveva compiuto da poco dieci anni. Non arrivò a gennaio, lo sapevamo tutti che avrebbe potuto lasciarci in qualsiasi momento, ma quel giorno sembrava potesse vivere per sempre. Mamma, mi disse, io sono un supereroe. Sul serio? Chiesi. Sul serio, rispose. E come mai? Domandai per dargli corda. Per le tre regole, mi spiegò. Quali tre regole? Domandai. Le tre regole dei supereroi. Devi possedere un super potere, un simbolo con il quale la gente ti riconosca e devi avere una missione. Quali sono i tuoi? Gli chiesi.”
Quindi la vecchia si ammutolì e prese un fazzoletto dalla borsa per asciugare il viso.
“Allora?” fece Francesca con un pizzico di apprensione.
“Sì, signora”, si unì Daniela. “Ci dica il resto.”
“Cosa?”
“Quali erano il super potere, il simbolo e la missione?”
“Ah, sì, mio figlio. Il mio super potere, disse, è il tempo. Adesso, in questo momento, io ho il mio tempo, da passare con te o per fare qualsiasi cosa vorrò. Ora. E’ un super potere e io lo so.”
“Il simbolo?” domandò Francesca.
“Cose con gli angoli”, rispose la donna. “Tutte le cose che hanno angoli. Gli oggetti dalla forma rettangolare o quadrata, ma anche le forme triangolari. Osservai che c’era un'infinità di roba con gli angoli, al mondo. E lui mi disse che proprio per questo l’aveva scelto, per soddisfare la terza regola.”
“Quale?” chiese Daniela.
“Glielo domandai anche io. E lui mi rispose: fare in modo che, quando se ne sarebbe andato, finché sarei stata in vita mi sarei ricordata di lui e avrei saputo che da qualche parte stava ancora combattendo contro i cattivi.”
Ora erano Daniela e Francesca a essersi commosse.
Già, è vero, capita di rado con le storie di supereroi.
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