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Storie d'amore: Mi piace

Mi piace

di
Alessandro Ghebreigziabiher

Lui mi piace e ho agito, potrebbe finire qui.
I tempi sono cambiati, dicono in tanti. Sì, d’accordo, lo si dice in ogni tempo diverso dal precedente, è banale, ma questa cosa qui, dai, questa è normale.
Anzi, è la norma.
Una ragazza che fa il primo passo, che si dichiari

Alessandro Ghebreigziabiher
all’ignaro lui è roba di tutti i giorni, oramai.
Così, a natale mi son fatta coraggio, mi son fatta, punto, e sono andata in missione per conto del cuore.
Un attimo… ho detto fatta, vero? Non pensate a droghe di qualsivoglia peso.
Ho la mia personale idea di sballo e non ho problemi a spacciarla qui, sulla pubblica pagina.
Le mie droghe sono, in ordine sparso, i video musicali dove non si capisce un fico secco, ma la musica ti spezza in due, anzi, in tre e pure quattro, cinque parti necessariamente diseguali. Le maratone, la sera molto tardi o il mattino troppo presto, dello stesso film strappa lacrime, risate e budella, fino a consumare gli occhi. E le interminabili passeggiate con Tubo, il mio bastardino, che è di una simpatia infettiva, malgrado la cara bestiolina non capisca il suo nome, questa arriva dopo.
Il rallenty che segue è d’obbligo.
Eccolo, lo vedo, lui non vede me, tutti non vedono noi, ma la bidella sì.
Perché cappero non si fa gli affari suoi?
Oh, s’è voltata, bene.
Avanzo cuore in mano e cervello nascosto da qualche parte, altrimenti, col cavolo che sarei qui, ora.
Lui mi vede, io da mo’ che lo guardo, lui in realtà non mi vede davvero, ma cosa conta per un’innamorata pronta a tutto?
Mi avvicino, lui è vicino, io tremo, lui no, io sorrido, lui pure, ma per lui è solo una mera, empatica reazione.
No, Cupido, ancora no, Afrodite, e tutte voi, divinità dell’amor puro, non mi accontenterò di banale empatia, che come bruco possa divenir col tempo farfalla.
Voglio ali e tutto il resto adesso, sul posto.
Così, mi schiarisco la voce e sparo le mie preziose cartucce.
“Piero, vorrei dirti qualcosa, vorrei davvero, ma temo che non ci siano lettere in tutto l’alfabeto pronunciabile capaci di formar parole coerenti con quel che provo.”
“Bella questa, Stefi, mi piace.”
“Sì… sono contenta… fa piacere anche a me.”
“Cosa?”
“Che ti piaccia.”
“Ottimo.”
“Dicevo… temo, io temo, ma questo non vuol dire che mi arrenda, perché la paura è solo una porta che ti conduce nell’unico luogo dove sei davvero attesa.”
“Bellissima, questa è ancora meglio. La condivido subito.”
E prende a digitare, il demente.
“Piero?”
“Sì?”
“Ti dicevo, poc’anzi, che non mi arrendo e quindi, insomma… dal primo giorno che ti ho visto io ho capito.”
“Che?”
“Ho capito che non riesco a immaginare giorno dove i tuoi occhi non trovino casa nei miei.”
“No…”
“Ebbene sì.”
“E’ tua?”
“Cosa?”
“Va be’, non importa, la posto subito sulla mia pagina, stavolta raggiungo i mille, stai a vedere…”
“Piero…”
“Sì?”
“Ma hai capito che ti sto dicendo?”
“Certo e mi piace, te l’ho detto.”
“Sì, questo l’ho capito anch’io… forse devo essere più chiara… io sto cercando di dirti che vorrei che questo natale mi regalasse un sogno a occhi aperti e quel sogno sei tu…”
“Sul serio?”
“Certamente.”
“Stefi, ma tu sei qualcuno, sei, questa è quella che mi piace di più! Ti dispiace se la rivendo come mia?”
“No, fai pure…”
Che dire, mi sono allontanata in relativo buon ordine, mesta e leggermente incacchiata.
Natale è trascorso con andatura agrodolce con inevitabili punte di malinconia.
Tuttavia, ho iniziato l’anno con un proponimento a cui intendo tener fede più di ogni altra cosa nella mia vita, da ora in poi.
Devo pensare con molta, infinitamente molta più attenzione.
A quello che mi piace…



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