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Storie di bambini: voltati

Voltati

di
Alessandro Ghebreigziabiher

“Voltati, caro”, fa Annalisa, sua moglie, ma invano.
“Solo un attimo”, risponde difatti Amedeo, senza

Alessandro Ghebreigziabiher
smettere di mostrare la solita schiena, la consueta nuca, gli ormai radi capelli e le immancabili spalle contratte, a causa delle braccia irrigidite e obbligate a seguire le mani, frenetiche su di lui, sua maestà il cellulare.
La stanza è quella grande, come la chiama Stefania, la figlia maggiore, sedici anni, detta anche colei che ora non si limita più a far domande. Adesso ha qualche risposta al suo arco e non manca mai di centrare il bersaglio preferito dalle giovani della sua età.
“Tanto è inutile, mamma”, osserva con paradossale tono materno, “da lì non lo smuovi neanche con il terremoto. L’altro giorno il lampadario ballava e ci stava proprio sotto, ma dove credi che guardassero i suoi occhietti?”
“Non ti permettere di prendere in giro tuo padre”, l’ammonisce Giuliana, la nonna paterna, “lavora tanto e lo sai.”
“Ma non sta lavorando”, osserva Luigi, il figlio minore, tredicenne smanettone, nonché il tecnico installatore e manutentore di telefonini preferito dal babbo, ovvero l’unico, il più facilmente reperibile e soprattutto più a buon mercato. “Starà giocando, vedrai.”
“Non sto giocando”, ribatte l’interessato, “ho detto un attimo, che fretta c’è?”
“Non puoi certo dire che stai lavorando”, esclama Goffredo, collega e diretto superiore del nostro. “Non a quest’ora, gli uffici sono chiusi, lo sai.”
“Ciao, Goffredo”, fa Amedeo.
Ma senza voltarsi, ovviamente.
“E’ sempre stato così”, sottolinea Corrado, il fratello da poco uscito da una comunità di recupero ma probabilmente già ricaduto nel vecchio vizio, cosa palese a tutti, visto che da quando è arrivato si è chiuso ripetutamente al bagno e ogni volta è tornato più accelerato di prima. “Le buone maniere non sono il suo forte, ma non è cattiveria, è che non gli viene proprio naturale.”
“Pensa per te”, interviene Caterina, sorella di entrambi, nonché mezzana, figura mediana della loro vita e forse anche della propria. “Neanche tu sei mai stato un mostro di cortesia.”
“Non litigate”, tenta di buttare acqua sul fuoco nonna Giuliana.
“Avete provato a spegnere il Uai fi?” propone Duilio, il vicino vedovo, pensionato e soprattutto molto solo, quindi onnipresente in casa loro.
“Vuole dire Wi-Fi?” precisa Luigi. “Comunque è inutile, ha un abbonamento di ferro, papino.”
“Certo”, gli ricorda la madre, rammaricandosi all’idea, “gliel’hai sottoscritto tu…”
“E ti credo, mamma, mi ha dato venti euro, quel giorno. Per cinque minuti di lavoro è un affare.”
“Concordo”, approva Goffredo.
“Ecco la lasagna, signori”, esclama zia Valeria facendo un’entrata trionfale con la poderosa teglia sospesa davanti a sé come fosse la corona della regina di Inghilterra. “Vedrete che non appena ne sente l’odore corre in tavola.”
“Mi dispiace deluderti, zia…” fa Annalisa. “Se avessi potuto prenderlo per la gola, da tempo avrebbe smesso di rimanere sempre lì incollato.”
“E poi sarei io il tossico…” osserva Corrado mettendosi a tavola.
Tutti lo guardano preoccupati per le ragioni di cui sopra, ma nessuno si sente di dissentire.
A un tratto entra nella stanza Matteo, accompagnato da nonno Federico, al quale stava facendo vedere gli ultimi disegni che aveva fatto a scuola.
“Sbaglio o è arrivata la lasagna?” osserva l’anziano padre di Annalisa.
“Sì, nonno”, conferma Stefania, “mancavate solo voi.”
“Non è vero…” fa Matteo, solo otto anni e una quantità ben più grande di desideri da esprimere.
Come quello di guardare negli occhi suo padre, qualora ne abbia bisogno.
“Papà”, fa dopo essersi avvicinato ad Amedeo.
“Voltati.
“Voltati, papà.
“E spegni quel coso.
“Perché, tanto, tutte le persone che ti amano.”
“Sono qui…”
E fu così che a tavola.
Non mancò più nessuno.


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