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La confessione di Valeria

La confessione di Valeria

di
Alessandro Ghebreigziabiher


Ecco, ci siamo.
Manca poco, Valeria, molto poco, devi essere onesta, ora.
Sono una potenziale assassina, ma sono sopravvissuta alla forca per fortuna, e forse, per un pizzico di ostinazione tipicamente femminile.
Oh, l’ho detto, sono contenta.
Ma non basta, vero?
Devo dirla tutta, devo farlo, ho bisogno di ricordare e confessare ogni cosa.
Volevo ucciderti, lo ammetto, ho cercato molte volte di farlo e sono stata a un soffio dall’eliminarti dalla mia vita.

Alessandro Ghebreigziabiher
Mi rimiravi con quello sguardo assente, con la testa altrove, il cuore da tutt’altra parte, e ogni singola cellula del corpo per i fatti propri, come se essere lì, in quel preciso momento non fosse la priorità.
Quanto mi hai fatto penare, non hai idea, non hai.
Quante delusioni ho dovuto sopportare, a causa tua, e della tua assoluta incapacità di ottenere risultati veri, quelli che fanno contenti famigliari e affini, che ti rendono degne di pubblica lode negli aggiornamenti parentali.
C’è mancato poco, sul serio.
Volevo farlo, credimi.
Ma non ci sono riuscita, e te la sei scampata, perché poi… poi era troppo tardi, ormai.
E vogliamo parlare della tua migliore alleata?
Esatto, mi riferisco a te, che non fai che sorridere.
Ma che ti ridi?
Cosa ti ridi, con tutto quello che accade nel mondo?
Sì, so già che cosa mi rifilerai ora, è la stessa che ripeti da sempre.
È proprio ciò che accade nel mondo che ha bisogno di me, la conosco a memoria, la lezioncina.
Ciò non toglie che sono stata più volte tentata dallo strangolarti, quando ti osservavo con quegli occhi allegri e il sorriso perennemente allargato.
Ti odiavo, perché ti invidiavo e ti invidiavo perché odiavo me, incapace di avere la tua forza di sdrammatizzare tutto e tutti.
Magari, avessi quel dono, mi dicevo, e mi sentivo in colpa.
Ecco perché, come molti, non vedevo altra soluzione che cancellarti dal mondo, dal mio, voglio dire.
Volevo farti soffrire e molto, prima, però.
Volevo vederti perdere e ammettere che non è possibile vivere così.
Ero sicura che subito dopo mi sarei sentita meglio e tutto sarebbe stato più facile.
Non ce l’ho fatta, ci ho provato tante volte, e in ognuna di esse hai vinto tu.
Ma volevo ammazzarti, davvero.
Infine ci sei tu, impareggiabile compagna delle altre due.
Tu sei quella che avrei desiderato assassinare più di ogni altra.
Mi sentivo offesa da te, come se il tuo volto disteso e sereno producesse un automatico ceffone sul mio, appesantito da ogni singolo evento quotidiano, dalla parola bruciante al gesto indifferente.
Volevo avvelenarti con le mie tristezze più insopportabili e con le mie angosce meno tollerabili.
Volevo inquinare la tua espressione e renderla il più simile possibile a quella che opprimeva il mio petto, da dentro.
Eppure, anche con te, malgrado abbia provato di tutto, non sono riuscita nel mio intento.
Ti sei salvata, come le altre.
E io con voi, adorate parti di me.
Vi vedo tutte, ora, nello specchio.
La capacità di sognare e difendere con unghie e denti anche il più piccolo sogno, come se fosse uno dei miei tanti figli.
Il desiderio di giocare e, soprattutto, la strenua volontà di farlo, sempre e comunque.
E, infine, la voglia di leggerezza, come condizione naturale per vivere saggiamente il tempo che ci resta.
Volevo uccidervi e, ripeto, per fortuna siete ancora vive, in me.
Ecco, ho confessato.
È ora di andare in scena.
Il teatro attende.
Sipario...




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