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Vietato sorridere

Vietato sorridere

di
Alessandro Ghebreigziabiher


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Che giornata, ragazzi.
Definirla memorabile sarebbe riduttivo, ma andiamo per ordine, partiamo dall’inizio, dal c’era una volta e… come al solito, giudicate voi altri.
Apro gli occhi come sempre al richiamo della sveglia del cellulare, con le palpebre ancora recalcitranti a lasciar spazio al cosiddetto specchio dell’anima, e mi dirigo con il consueto passo malfermo dell’uomo di mezz’età al mattino in cerca dell’agognato posto libero in bagno.
Nel tragitto mia moglie mi scorge dalla cucina, dove provvede al primo pasto dei pargoli.
"Carlo", fa preoccupata raggiungendomi in corridoio, "come stai?"
"Perché me lo chiedi?" rispondo con la voce ancora impastata dal perduto sonno.
"Stai sorridendo…" osserva Sara.
"Non è possibile", mi dico.
Così corro allo specchio del bagno promesso,

Alessandro Ghebreigziabiher
e rimango basito e col classico cuore in gola innanzi al mio volto riflesso.
Sorridente, già, con le labbra e con lo sguardo, con le gote e tutto il resto.
Mia moglie mi affianca sul posto.
"Avverti subito in ufficio che oggi non vai", ordina quasi, "intanto io chiamo il dottor Marini".
Annuisco, senza smettere di fissarmi.
E di sorridere.
"Cos’ha papà?" Chiede Lucio alla mamma mentre quest’ultima apre la porta di casa, dopo avermi salutato per andare a scuola con il fratello maggiore in compagnia di altrettanti zaini pesanti come macigni.
"Ma non hai visto il sorriso che ha in faccia?" fa Valerio, quasi divertito, tipica ilarità adolescenziale sul bersaglio favorito, ovvero il cadente babbo, ormai ex invincibile eroe senza rughe e paura.
Più tardi sono nello studio del dottore.
"Come si sente, ora?" mi chiede il barbuto cerusico dagli occhi piccoli ma oltremodo scrutanti.
"Sereno", rispondo.
"Vada avanti", incalza lui.
"Sì, sereno… con un senso di leggerezza, di accettazione delle cose, ecco, come se in fondo non ci sia alcun vero problema, come se volessi vivere l’istante per quello che è, senza farmi troppe pippe mentali, insomma, con una propensione a godere delle piccole, preziose cose quotidiane. Direi quasi che sono feli…
"Dottore, perché quella faccia? È grave?"
"Mi dica la verità", fa lui. "Ha cambiato abitudini, ultimamente?"
"No, non mi sembra", osservo.
E così parte con le domande di rito, che conosco ormai a memoria: "Ascolta sempre i telegiornali, anche più volte? Legge le notizie, ma solo i titoli, non sia mai, soprattutto quelle di cronaca nera su Facebook? Continua a non leggere libri, né saggi e tantomeno romanzi? È stato attento a non entrare mai in un teatro? Va al cinema soltanto per assistere a roba che vedono rigorosamente tutti? Guarda ogni giorno la tv di Stato e commerciale come se fossero qualcosa di diverso? Frequenta sempre le stesse persone, diffidando di quelle che non conosce? Fa le stesse cose ogni fine settimana? Va in vacanza sempre negli stessi posti? Natale, Capodanno, feste comandate, sono sempre uguali a se stesse?"
Insomma,
alla fine ha fatto una sintesi: "Non ci sono novità di alcun tipo nella sua vita, giusto?"
"No, solo il sorriso di questa mattina", spiego.
Ecco, è subito dopo che comincio ad avere davvero paura.
Il dottore mi parla di pericolose operazioni all’estero, farmaci debilitanti e mortificanti, costose sedute e incontri quotidiani, possibili trapianti e innesti, fanghi e punture, diete disgustose e privazioni inaudite, e altri terribili scenari che non sto qui a citare per non inquietare anche voi.
"E se il sorriso sparisse da solo come è venuto?" chiedo speranzoso.
"Sarebbe auspicabile", si limita a osservare il mio medico.
Così torno a casa a dir poco provato dallo sconforto.
Una volta all’interno dell’appartamento mi rannicchio in terra in posizione fetale.
Voglio piangere, ma non ci riesco. Anzi, più ci provo e altrettanto mi viene da sorridere.
Trascorro la giornata cercando il solito rimedio, seguendo le suddette indicazioni del dottore, passando le ore con i tg, leggendo i giornali e su internet i più terrorizzanti tra titoli e sottotitoli, guardo le trasmissioni angoscianti e i talk show fomentatori di odio e paura.
Quindi, dopo l’ennesima volta che verifico l’immancabile presenza del sorriso nello specchio, esco di casa e prendo a passeggiare senza meta, finché, camminando lungo il fiume ne trovo uno.
Uno dei quei pazzi, sapete? Quelli che stanno immobili per strada, col cappello sempre vuoto, perché tanto non si ferma nessuno a dargli qualcosa.
Lui mi guarda, deve aver visto il mio sorriso.
Mi imita.
Faccio per andarmene e lui mi mostra l’opposto disegno delle labbra, tristi e affrante.
Caspita... mi ha rivelato il segreto, mi ha insegnato come fare.
Dopo aver guardato in giro che non ci fossero occhi indiscreti, non gli do una moneta, ma tutto quello che ho nel portafogli e gli stringo la mano con immensa gratitudine.
Quando mia moglie torna dal lavoro e i ragazzi da scuola, vedendomi sul divano con il telecomando in mano e la solita faccia spenta, si rassicurano e tutto torna alla normalità.
Ho imparato a nascondere la gioia, tutto qui.
Ed è in quel momento che ha iniziato a tormentarmi una domanda che ancora oggi mi accompagna in ogni istante della mia vita.
E se non fossi l’unico a celare il proprio sorriso nel cuore?

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