Il gioco della vita
di
Alessandro Ghebreigziabiher
In un futuro lontano quanto vicino…
“Caspita”, fa il giovane sollevando del tutto le palpebre, “mi sa che ha funzionato...”
“Cosa?”
Il nostro sobbalza, in quanto non aveva scorto il tizio sulla soglia della strana stanza.
“Chi è lei?”
“Il suo amministratore, signore”, risponde l’uomo, pantaloni neri e cravatta del medesimo colore su una camicia perfino più bianca e impeccabile delle pareti sullo sfondo.
“Cos’è che ha funzionato?”
“La macchina del tempo… perché questo è il futuro, giusto?”
“Dipende da cosa lei intenda per passato, signore.”
“Prego?”
“Niente, lasci perdere, si preoccupi del gioco, piuttosto.”
“Quale gioco?”
“Che domande, signore: il gioco della vita.”
In quel momento il ragazzo mette a fuoco alcuni aspetti tutt’altro che trascurabili. Malgrado si trovi sulla medesima sedia da PC dalla quale aveva effettuato l’avveniristico salto temporale, innanzi a lui non c’è più quest’ultimo, bensì un grande pannello pieno di pulsanti di ogni colore, contrassegnati da etichette che ne specificano l’utilizzo.
“Ma cos’è questa cosa?”
Fa per alzarsi, ma si rende conto di essere praticamente imprigionato sulla sedia da una specie di cintura di sicurezza.
“Gliel’ho detto, è il gioco della vita e tra qualche istante ricomincia.”
“Che?”
“Il gioco.”
“Mi spiega di cosa cavolo sta parlando?”
“Ah, giusto…” fa l’amministratore, “adesso ricordo che voi eravate così.”
“Così come?”
“Niente lasci perdere, pensiamo al gioco. Adesso le spiego: li vede quei pulsanti?”
“Come farei a non vederli? Sono a centinaia...”
“Bravo, sa anche contare.”
“Mi prende per il culo?”
“E anche perspicace, ottimo, le servirà. Allora, dicevo: senza un ordine preciso, dalla ripresa del gioco ciascuno di quei pulsanti si potrà accendere e, quando questo accadrà, lei dovrà essere pronto a premerlo, senza dimenticarne neanche uno.”
“E cosa mi succede se non faccio in tempo?”
“Oh, a lei nulla.”
Il giovane emette il classico sospiro di sollievo.
“A lei nulla, dicevo, ma per qualcun altro non sarà piacevole.”
“Cosa vuol dire?”
“Oltre ai pulsanti le vede le targhette a essi abbinate?”
“Certamente.”
“Straordinario, che vista acuta.”
“Lei mi prende per il culo.”
“E non le sfugge niente, complimenti.”
“Torniamo alle targhette?”
“Sì, ecco, legga pure da sé.”
Il ragazzo avvicina il capo a un pulsante a caso.
“Per esempio, qui c’è scritto migranti.”
“Ottima scelta: ebbene, come per tutti gli altri quando il bottone si accende lei deve premerlo entro cinque secondi.”
“E se non lo faccio?”
“Un barcone pieno di stranieri affonda in mare aperto.”
“Ma così possono morire...”
“Incredibile, ma lei è un genio. E, in caso se lo domandi, sì, la sto prendendo per il culo.”
“Oh, ecco, infatti mi sembrava tutto assurdo.”
“Non mi riferivo al gioco, signore, qui è tutto vero.”
Il giovane legge ancora dal tabellone.
“Qui la targhetta dice Rom. Se non lo premo?”
“Un campo dei suddetti viene bruciato.”
“Omosessuale?”
“Massacrato dai bulli.”
“Qui c’è scritto pure bambina...”
“Maltrattata dai genitori.”
“Donna! C’è pure donna...”
“Qui è random: uccisa, picchiata, molestata, dipende dal caso, o da lei.”
“Come da lei? Dipende da me?”
“Mi sembra chiaro. Se lei si distrae e si limita a pensare solo ai fatti suoi, evitando di schiacciare il pulsante in tempo, il rispettivo disgraziato ne paga le spese. Si prepari, perché l’intervallo è finito e mancano una manciata di secondi alla ripresa.”
L’agitazione del nostro è pian piano cresciuta in modo esponenziale.
“No… guardi”, inizia a farfugliare, cercando inutilmente di alzarsi, “non mi va, non posso proprio, ma che razza di posto è questo? Non voglio giocare, ecco.”
“Mi dispiace, signore, ma ciò è impossibile.”
“Perché?”
“Vede, se facessero davvero tutti come lei sarebbe il mondo stesso a fermarsi.”
“E per quale ragione?”
“Perché, come tutti noi, anche lei è il pulsante di qualcun altro, che le permette di godere dei suoi privilegi.”
“Voglio tornare indietro, allora.”
“Non le servirà a niente, signore.”
“Perché?”
“Perché fin da quando è apparsa sulla terra l’umanità partecipa al gioco della vita. La differenza è che ora, a differenza di quel che chiama passato, non può più far finta di non saperlo.”
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