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L'appuntamento di Maria

L’appuntamento di Maria

di
Alessandro Ghebreigziabiher

 
Nel futuro…

Maria, ci vediamo nel futuro, hai detto.
Sì, hai ragione, davvero.
Peccato che la cosa più giusta tu l’abbia detta alla fine, però.
Sei timido, mi avvertirono.
Quindi non è che mi aspettassi nulla di emozionante o spiazzante, soprattutto all’inizio.
Sono timida, mi dicono.
Quindi non è che avresti potuto aspettarti qualcosa di diverso.

Alessandro Ghebreigziabiher
Di quel che è stato.
Alle otto, hai proposto, ci vediamo alle otto da te.
Alle otto e qualcosa in più, ho pensato, sommando a mente il rituale e inevitabile ritardo.
Da me.
Sono entrambi timidi, hanno osservato in molti, tra amici, simpatizzanti o semplici spettatori di una possibile, avvincente storia d’amore.
Speriamo che non vadano troppo per le lunghe, avranno aggiunto alcuni.
Tuttavia, il tempo è relativo, come insegna il genio, ma il sentimento dà il suo meglio in un istante, precisa il poeta e tu hai scelto il domani, a scapito dell’oggi.
Hai tirato fuori dalla scatola il tuo robot replicante, lo hai impostato sulla modalità uscita romantica e all’ora decisa lo hai spedito al tuo posto.
Immagino ti sia costato un occhio.
Intelligenza artificiale di ultima generazione, in grado di riprodurre quasi alla perfezione la personalità del proprietario.
Ah, i prodigi della tecnologia… che paradosso, vero?
Dovrebbero rimediare ai nostri limiti, invece non fanno altro che metterli in risalto.
Difatti, l’androide sosia, a tua immagine e somiglianza, è anch’esso timido.
Come può esserlo una macchina, è chiaro.
Logicamente introverso.
Impossibile quindi aspettarsi un qualsivoglia atto di coraggio, ovvero quegli umanissimi secondi di incoscienza che rendono impavido lo schivo di turno.
Cosicché, l’automa ha imitato anche la tua copertura.
Ha sviluppato un ologramma identico a entrambi sotto ogni punto di vista, gli ha passato il compito e lo ha spedito.
Da me.
Ah, le invenzioni del progresso… che beffa, non credi?
Dovrebbero correggere la nostra vita, ma spesso non fanno altro che ripetere i medesimi errori dei loro creatori.
Difatti, inutile dirlo, l’ologramma è anch’esso timido.
Timido come può esserlo una creatura impalpabile e trasparente.
Che il più delle volte, al meglio, fa solo da muta comparsa alla scena principale.
Il seguito è storia nota, tra di noi, come ben sai.
L’eterea copia, al contempo di umano e automa, decide di spedire in sua vece un’app mirabolante di sua fabbricazione, in grado di pronunciare almeno settecento tipi di frasi galanti e seducenti, tenere e accattivanti.
Oltre, soprattutto, a stare zitta qualora il momento lo richieda.
Cosa voler di più?
Nondimeno, sotto sotto, nelle trame più fragili del codice sorgente, il programma playboy è timido, esattamente come l’anello primigenio di codesta virtuale catena.
E allora si mette in stand by, a fare aggiornamenti o cos’altro combinano siffatte misteriose entità laddove non viste, e la danza continua.
Perché al posto dell’app viene il turno di una serie di email, scritte con ardore e passione, quindi la palla passa a un solo, singolo sms, ma composto di brucianti parole capaci di sciogliere almeno uno dei poli, per poi esser girata a una conturbante processione di emoticon, una collezione di faccine disegnate con mano dolce e ferma al medesimo tempo, tratto tipico dei grandi amatori della storia, fino a giungere nelle mani di un affascinante video su Youtube che buca schermo e ogni parete possibile, anche la più impenetrabile, quella che separa il cuore dal cuore.
Ciò malgrado, ciascun ballerino di tale vorticosa coreografia, rivela a tempo debito la propria inguaribile e congenita timidezza e come un cigno morente alla nascita si accascia a scena ancora aperta.
Caro, ho aspettato fino a tarda sera, sino al giorno seguente e oltre.
Sto ancora attendendo.
Nel futuro.
Ci vediamo nel futuro, dicesti allora.
Come hai ragione.
Peccato che la cosa più giusta tu non l’abbia fatta all’inizio.
Perché magari il futuro.
Con te.
Sarebbe arrivato alle otto, al massimo otto e mezza.
Da me.



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