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Badante

Badante

di
Alessandro Ghebreigziabiher


La donna era disperata e confusa.
C’era qualcosa di sbagliato, in tutto ciò, le sussurrava la ragione. Ma si sa, per molti, troppi, di questo mondo, la razionalità è un bagaglio troppo ingombrante da portarsi in viaggio.
Paolo le sorrideva, mentre gattonava nella stanza, malgrado il verbo non le sembrasse esatto, come tanti della lingua che aveva dovuto imparare per necessità e per amore del futuro.
Il bambino di appena dieci mesi con cui viveva la maggior parte della propria quotidianità non pareva affatto un gatto, mentre misurava le distanze della sua cameretta.
La sua andatura a carponi non aveva l’eleganza e la sinuosità dei felini. Non le sembrava neppure fiero e guardingo, come molti tra loro.

Alessandro Ghebreigziabiher
Il bimbo che le permetteva di mangiare, in una perfetta donazione reciproca, era simpaticamente goffo nei movimenti, ma perché sopraffatto da una quanto mai sana curiosità dell’ignoto oltre il centimetro che lo divideva dall’infinito.
Aveva fretta di vivere momenti nuovi e sfiorare perfezioni incomprese.
C’era qualcosa di immensamente giusto, le suggerì il cuore più tardi, e non potè fare a meno di essere d’accordo.
Tuttavia, l’angoscia nel petto non diminuiva, tutt’altro.
Non perdette di vista Paolo neppure per una frazione di secondo, ma con la sola mano libera afferrò il cellulare e iniziò a chiamare il piccolo mondo a portata d’affetto e bisogno di cui poteva approfittare.
Sbagliato o giusto, non sarebbe dovuto accadere in quel momento.
Non così.
Non con lei.
Non dopo lo sfogo udito dalla reale protagonista nei titoli di testa, quanto quelli di coda.
La star principale sulla locandina.
Colei che viene intervistata prima e applaudita poi.
Giusto o sbagliato, da che mondo è mondo, e non paradiso, le comparse non meritano i flash.
Non hanno nome e neppure volto.
Servono eccome e, laddove abbiano voce, è suono trascurabile e irriconoscibile tra i molti.
Appaiono e scompaiono nella trama vivente della moderna società.
Ricevono comunque il compenso che spetta loro, alla fine della giornata.
Non dovrebbero lamentarsi, bensì accontentarsi di avere qualcosa più del nulla.
Questo recita il copione, ovvero le avvertenze scritte in piccolo per le anime altrettanto elementari.
Ecco quale reato sentiva e pensava di aver fatto, anche solo per essersi trovata lì, in quel meraviglioso istante.
Aveva violato le sacre regole e non poteva fare a meno di ripensare alle parole che aveva colto la sera precedente.
Si lamentava con il coprotagonista maschile, la diva.
Ce l’aveva con lui e con il mondo intero per l’ingiustizia che riteneva stesse subendo.
In breve, di seguito, la conclusione.
La madre di Paolo tornò per prima e, quando la nostra si decise a farsi coraggio e confessare la terribile violazione dei termini previsti per umano decreto, anche il papà rincasò.
Ecco, ci sono tutti, pensò lei, ma sbagliato che sia, è giusto essere onesti con se stessi.
È vocazione a cui le comparse di questa terra non possono proprio rinunciare.
“Signora, devo dirle una cosa”, fece la donna di fronte ai padroni di casa, con il bambino seduto in terra alle sua spalle. “Mi dispiace molto, ma stamani Paolo mi ha guardato, ha sorriso e...”
In quell’esatto momento, la scena le fu sottratta dall'attore esordiente.
“Mamma!”
L’interessata, perlomeno sulla carta, venne folgorata immediatamente. Spinse la badante di lato con brusca gentilezza e si gettò in ginocchio dinanzi al figlio, seguita subito dopo dal padre, il quale, a differenza della moglie, aveva già ascoltato la tanto sospirata parolina a lui spettante.
“Hai sentito, caro?”
“Sì, amore.”
“Ha detto mamma!”
“Già, ha detto mamma.”
La donna, personaggio minore sullo sfondo dell’inquadratura principale, si sentì d’improvviso sollevata e approfittando della ricomposizione dello schema atteso, quanto preteso, fece per uscir di scena.
“Fatima, aspetta”, esclamò la madre di Paolo. “Cosa volevi dirmi?”
“Niente, signora, una sciocchezza. Ci vediamo domani.”
Un attimo dopo i genitori erano di nuovo tutto occhi e sorrisi sul figlio.
“Avanti, Paolo”, lo implorò la madre. “Dillo di nuovo, coraggio...”
Il bambino non si fece attendere.
E fissando lo sguardo sulla porta chiusa oltre i due, esclamò la magica parola, sbagliata o giusta che sia.
Mamma.



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