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Il sogno del bambino diverso

Il sogno del bambino diverso


di
Alessandro Ghebreigziabiher


C’era una volta un bambino.
Un bambino che era diverso.
Non per nascita, sia ben chiaro.
Si viene al mondo unici, c’è inciso sulla confezione dell’anima, ma è una di quelle avvertenze speciali, scritte così in piccolo che per leggerle occorre avere gli occhi davvero aperti.
Il nostro diverso ci divenne non appena aprì la porta della propria vita a quelle del prossimo.
Si trattava di differenze superficiali, come sono la maggior parte di quelle che determinano i confini di ciò che non dovrebbe aver mai limiti.
Leggi pure come la tanto trascurata intelligenza.
Nondimeno, erano lì, ogni giorno tra i primi del piccolo protagonista di questa storia, come linee sempre più spesse e marcate a far da contorno all’immagine riflessa.
“Un sortilegio”, pensò il bimbo, “questa è una cattiva magia, ovvero di malefiche intenzioni, capace di imprigionarmi in uno specchio del tipo truffatore, che ti concede solo due dimensioni, al massimo tre, invece che infinite.”
Allora, come tutte le giovani creature di questa terra, non trovando sostegno nei suoi cari, non più capaci di lui di contrastare il truce incantesimo, il bambino si affidò alla sola magia buona capace di sopravvivere indenne in siffatti casi.

Alessandro Ghebreigziabiher
Scelse di sognare.
E quando ciò accade giammai quale mera conseguenza del sonno, be’, prima o poi si trova quel che si cerca, o almeno così dicono all'entrata.
Chiuse gli occhi e si sentì leggero, talmente leggero da sollevarsi dalla pazza vita in cui viveva e volò. Ma non come gli uccelli o gli aerei, bensì come può farlo un bambino che ha bisogno di trovar casa, la sua.
Difatti, non appena lasciò la terra un tempo natia alle spalle, librandosi nello spazio, prese a saltare da un pianeta all’altro come se fosse un gioco, uno di quelli facili, che puoi fare con poco, ovvero tutto ciò che hai.
Tuttavia, non era lì solo per giocare, piuttosto per trovare.
Si fermò quindi al primo pianeta, che era una stella, ma di quelle simpatiche, che brillano, ma non bruciano.
Eppure, malgrado tanta luce, era abitata soltanto da persone prive di vista.
Il bambino si rallegrò di questo e cercò subito di fare amicizia con gli abitanti.
“Qui sarò felice”, pensò, “perché nessuno potrà vedermi e additarmi come un bambino diverso.”

Nondimeno, col passar del tempo, dovette ricredersi, perché la gente non era in grado di osservare anche altro, molto altro.
Tra tutto, il suo sorriso e i suoi occhi quando si univano a tale mirabolante spettacolo.
Perciò, ringraziò le cieche creature, le salutò con affetto e riprese a saltare.
Arrivò quindi su un pianeta che era in realtà un meteorite, ma di quelli accoglienti, senza spigoli e con il pavimento morbido.
Anche gli abitanti di questo mondo erano sprovvisti di qualcosa.
Essi non potevano parlare.
“Perfetto”, si disse il bambino, “qui vivrò serenamente, perché nessuno di loro potrà insultarmi e dire cose sgradevoli sul mio conto come se non fossi lì presente.”
Tuttavia, anche stavolta venne deluso, perché nessuno di loro avrebbe mai potuto chiamarlo per nome, rispondere al suo saluto, raccontar storie a voce alta, cantare canzoni oneste e soprattutto dare voce a quei sentimenti che hanno bisogno di parole ascoltabili per riscaldare il cuore altrui.
Perciò salutò a malincuore i nuovi amici e con qualche lacrima intorno ai bordi degli occhi si allontanò tra le nuvole.
Saltò ancora e stavolta atterrò su una cometa, ma di quelle che vanno piano, per permettere a chiunque lo desideri di salire a bordo a condividere il viaggio.
Ciò nonostante, pure la cometa era abitata da persone a cui mancava qualcosa.
Costoro non potevano toccare l’altro, in alcun modo.
“Magnifico”, si disse il bambino. “Qui sarò al sicuro, perché nessuno di loro potrà mai picchiarmi.”
Tuttavia, anche in questo caso il rovescio della medaglia risultò inaccettabile, perché in quel bizzarro mondo non esistevano tenere carezze e caldi abbracci, affettuosi pizzicotti sulla guancia e incoraggianti pacche sulla spalla.
Vi era una perenne quanto insormontabile distanza tra tutti.
Come un maledetto muro.
Il bambino si accomiatò dagli abitanti, sebbene fossero stati così ospitali, e commosso volò via.
Sapete una cosa?
Balzando di pianeta in pianeta, da una stella all’altra, tra comete e meteoriti, egli è ancora lì, nel cielo, solo.
Alla disperata ricerca.
Di noi...



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